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ULTRAPOP A VILLA CROCE

"Settanta per cento di sottocultura, trenta per cento di buon gusto": questa la formula con cui gli Ultrapop, gruppo di artisti stanziato a Milano che inaugura oggi una coloratissima mostra al Museo di Villa Croce, definisce il suo lavoro. Sorprendente per gli standards del Museo, che negli ultimi anni ha seguito in prevalenza una linea incentrata sull'indagine storica, l'irrompere di una tendenza che riprende, esasperandolo, il linguaggio dei fumetti e dell'illustrazione. Ma non priva di precedenti illustri rintracciabili non solo (e forse non tanto) nell'ambito dell'arte pop americana degli anni '60. Se a questa rinvia la denominazione, che Dario Arcidiacono, Antonio Sorrentino, Sandra Virlinzi e Giordano Curreri (catanesi i primi tre; genovese l'ultimo) casualmente condividono con una band brasiliana ed un'etichetta discografica argentina, più attendibili paiono i riferimenti ad un "graffitista" come Keith Haring, od alla corrente francese di Figuration Libre, venuta alla ribalta nel 1982. Mentre, infatti, un maestro pop come Roy Lichtenstein sembrava puntare, nelle opere ispirate ai cartoons, a riscattarne gli intriseci valori compositivi, gli autori di maggior spicco di Figuration Libre, come Robert Combas e Hervé Di Rosa, si sono deliberatamente ispirati agli aspetti più appariscenti e volgari del fumetto, dell'immagine popolare e della cultura rock.
Un approccio che gli Ultrapop sembrano sposare appieno, giacché dichiarano, in una sorta di manifesto che campeggia nel loro sito web (www.ultrapop.it), di riconoscere il proprio habitat in "centinaia di urla metropolitane, sirene, orrori, hamburger e meteoriti". Addentrandosi in un percorso per certi aspetti parallelo a quello praticato dagli scrittori lanciati dall'antologia einaudiana "Gioventù cannibale", pubblicata nel 1996, gli Ultrapop (nati a Milano un anno prima) si dedicano a rivestire di esuberanza, inventiva e cromatica, ogni sorta di mostruosità, consapevoli del fatto che solo la trasposizione ludica permette alle visioni deformate di far penetrare sottopelle il loro messaggio angoscioso.
Nell'attraversare la rassegna, allestita dal Museo in collaborazione con il Centro della Creatività del Comune e con il sostegno finanziario di AMGA e FNAC, ci imbattiamo così in robots deambulanti in deserti infuocati e in nanetti nudisti (Sorrentino), in folle stranite in attesa della metropolitana od in irsuti angeli decollati (Giordano Gurreri), in totem di teste bestiali urlanti dipinte su plexiglas (Dario Arcidiacono) e nell'asimmetrico volto di un "Povero diavolo" effigiato da Sandra Virlizzi. Al centro del percorso campeggia un'inconsueta "Sala Giochi", opera collettiva che raccoglie quattro macchine da videogioco reinterpretate degli artisti in chiave horror-tech. Ed è proprio in questa installazione, significativamente immersa nel buio, che si manifesta nella sua dimensione più compiuta quella "Disneyland dall'effetto speciale splatter e dalla scenografia trash", denuncia di una immaginazione ormai ridotta a stereotipo, cui accenna il curatore, Ferruccio Giromini, nel suo scritto introduttivo.

s.r. (novembre 2001)





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