Hozro: materiali sugli artisti liguri





UNA STAGIONE DI GIOVANI

Si va da "Vetrine ad arte", rassegna a cura di Enzo Cirone, sponsorizzata - secondo una prassi recentemente invalsa - da un pool di esercizi commerciali in cui l'arte viene utilizzata, pragmaticamente, per l'appeal pubblicitario e riesce, anche, a promuovere sé stessa, al più tradizionale ciclo "L'immaginazione senza fili", realizzato con pochi mezzi ma con esiti sorprendenti in termini di affluenza di pubblico e di eco di stampa dalla Sezione Arti Visive del Circolo BNL. Così, ancora, alla ricerca individuale di nuovi spazi (per cui fa testo la mostra di Sonia Armaniaco alla Libreria "Il Pungolo") si unisce la disponibilità di ritrovi come la "Birreria Sibaria", ove si sono avvicendati numerosi artisti e quelle di gallerie d'arte di tradizione consolidata, come l'"Unimedia" che continuano a riservare ai giovani un'assidua attenzione, non senza registrare - talvolta - scompensi negli accostamenti proposti e sotto il profilo qualitativo.

Mentre alcuni artisti hanno raggiunto un'udienza che travalica i confini regionali (è il caso di Piergiorgio Colombara che ha esposto recentemente all'"Avida Dollars" di Silvia Spinelli a Milano; di Andrea Crosa che, dopo l'exploit dello scorso anno al "Diagramma" di Luciano Inga-Pin, ha allestito con il gruppo "Programma 90", di cui fa parte, una vasta esposizione in uno spazio pubblico di Reggio Emilia) ed altri, come Giancarlo Gelsomino e Antonio Porcelli, hanno impresso svolte assai significative al proprio lavoro.

Fra le proposte inedite, le più interessanti sembrano essere quelle di Stefano Grondona, che ha esposto al Circolo BNL e, con immediata conferma, all'Unimedia, e di Sergio Pavone che - dopo una collettiva di largo respiro con Mario Diegoli, Oronzo Mazzei e il già citato Porcelli - ha presentato i suoi lavori al Brandale di Savona.

Grondona si vale di un complesso procedimento di derivazione fotografica per realizzare, su carta sensibile, un disegno spogliato di ogni impronta e impulso individuale, consegnando allo spettatore la visione di ambienti di algida esattezza, minuziosamente (forse anche ossessivamente) decorati, d'un grigio che sventa ogni impatto emozionale e introduce, con le sue molteplici sfumature, in un mondo popolato non da presenze numinose o metafisiche ma di vuoto perfetto, in cui si avverta una radicale assenza.

Una prospettiva sempre più chiusa, arrischiata e implausibile inclina pericolosamente le stanze in cui si realizza la messinscena del nulla, ove si persegue l'azzerarsi del sentimento e protagonista diviene un congegno inerte che gradatamente si distacca da ogni sospetta fonte d'energia ed esibisce (è il caso delle radio-robots senza fili e spine, scoperchiate in uno strip-tease meccanico) la superfluità del proprio impianto.

Del tutto opposto l'intento di Sergio Pavone, che - iniettando nell'opera un surplus decorativo - mira a rivestirla di una felicità che giunge sino alla sfacciataggine. L'esaltazione cromatica è attinta, nel suo caso, in forma netta, priva di qualsiasi nuance, tangibile nella stesura compatta, nei supporti oggettuali la cui consistenza impone sovente una dislocazione diversa di quella tradizionale, alla parete.

Le sue nuvole, gli "Splashes", i giardini stimolano risposte elementari: afferrare le prime per scostarle dal sole, sguazzare nei secondi, sollevando schizzi di colore. O giocare a rimpiattino fra le siepi, con la certezza di sorprendervi l'autore mentre, concitato, si affretta al tea-party del Cappellaio Matto.

s.r. (1986)





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