Hozro: materiali sugli artisti liguri





DANIEL SPOERRI

Definire la figura di Daniel Spoerri (nato nel 1930 a Galati, in Romania, e trasferitosi dodicenne - durante l'ultimo conflitto mondiale - in Svizzera presso uno zio che ricopriva la carica di Rettore dell'Università di Zurigo) non è impresa del tutto agevole.

Il suo percorso artistico eguaglia, infatti - nel susseguirsi di sviluppi imprevedibili - la vicenda biografica che lo vede alternare i ruoli di aspirante missionario e di venditore ambulante di frutta, di primo ballerino dell'Opera di Berna e di editore di riviste di poesia concreta e ideogrammatica.

Analogamente, infatti, l'iniziale interesse per le tematiche del movimento che lo induce a collaborare intensamente con Tinguely, alla creazione delle edizioni MAT (Multiplication d'Art Transformable) e, infine, a cooperare all'organizzazione della rassegna "Il movimento nell'arte", ospitata nel 1960 dai Musei di Amsterdam, Stoccolma e Copenhagen, cede il passo - proprio in quell'anno - alla vocazione novo-realista, cui risponde con l'invenzione dei "tableaux-pieges" (quadri-trappola) nei quali vengono bloccati "oggetti trovati per caso... esattamente come si trovano". In queste opere, vere e proprie "topografie aneddotiche dell'azzardo", Spoerri punta sulla contraddizione fra il disporsi effimero, non calcolato, delle cose e la fissità a-temporale cui - nella sua operazione - vengono costrette in un arresto del flusso (termine che richiama un altro aggruppamento artistico nel cui operare Spoerri è stato profondamente coinvolto, Fluxus) della quotidianità che rappresenta, secondo un'espressione di Pierre Restany, "il momento nullo della nostra visione presente".

Alcuni tableaux-pieges dei primi anni '70 (unitamente a pezzi di Eat Art e ad altri della serie degli "incidenti") costituiscono il versante per così dire storico della mostra allestita nei locali della galleria Unimedia, mostra che allinea altresì le recenti sculture de "I Giurati", nelle quali l'autore tenta di approdare all'eternizzazione dell'effimero attraverso un nuovo procedimento, riproducendo in bronzo tredici assemblages di tritacarne e forme da cappello, presieduti da un fantoccio Michelin.

In realtà al lavoro vengono però a mancare la freschezza e l'incisività che l'avevano sorretto nella fase precedente: gli esiti smarriscono ogni possibile connotato ironico od aggressivo nella consistenza rilucente di un metallo che, in luogo di trasporre in durevolezza l'istantaneità dell'appropriazione, sembra rimarcarne - in un soprassalto kitsch - l'essenziale superfluità.

s.r. (1987)





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