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BRUNO SCHULZ, PROFETA SOMMERSO

"Che fare degli avvenimenti che non hanno il loro posto nel tempo, degli avvenimenti verificatisi troppo tardi, quando ormai l'intero tempo è stato distribuito, suddiviso, ripartito, e che ora sono rimasti in certo modo per aria, non incolonnati, sospesi, vaganti e senza dimora?"
La risposta a questa domanda, Bruno Schulz (1892-1942), malaticcio insegnante di disegno e lavori manuali in una cittadina galiziana, Drohobycz, "nato austriaco, vissuto polacco e morto ebreo", trucidato per strada da uno scharfuhrer della Gestapo, l'ha tratteggiata nelle pagine fantasmagoriche de "Le botteghe color cannella", il suo capolavoro letterario, pubblicato nel 1934, e nelle bizzarrie dei suoi disegni. Che non soltanto ospitano eventi sottratti al dominio della clessidra - strumento cui l'autore annette un profondo significato simbolico, tanto da evocarlo nel titolo della sua seconda raccolta narrativa ("Sanatorio all'insegna della clessidra", 1937) - ma li avvicinano all'occhio in modo tale da aprire al loro interno "una prospettiva infinita e radiosa" od una deformazione fantastica e crudele.
E' attraverso questo processo di trasfigurazione che a Schulz riesce l'impresa di forzare il confine fra la grigia quotidianità e il meraviglioso, portando, come ha scritto Maurice Nadeau, "il romanzo di una piccola città, d'una famiglia e d'un bambino alle dimensioni dell'epopea e del mito".
Immediatamente riconosciuta dagli esponenti più avanzati della cultura polacca, come Witkiewicz e Gombrowicz, introdotta nell'area italiana negli anni '70 con l'imprimatur di Angelo Maria Ripellino e di Italo Calvino, la fascinazione letteraria di Schulz ha via via toccato autori come Buhumil Hrabal, Isaac Bashevic Singer, David Grossmann ed un maestro del teatro contemporaneo come Tadeusz Kantor.
Meno estesa risulta invece la conoscenza del suo lavoro grafico e pittorico, benché esercitato più a lungo nel tempo. Un'occasione felice di accostarlo direttamente viene dalla mostra "Bruno Schulz, il profeta sommerso" che fa tappa al Museo di Sant'Agostino grazie ad una collaborazione fra l'Istituto Polacco e vari enti italiani, fra cui il Museo Revoltella di Trieste, il Teatro della Tosse di Genova e il Palazzo delle Esposizioni di Roma. La rassegna, allestita sotto la direzione scientifica del Prof. Pietro Marchesani dell'Università di Genova, raccoglie una settantina di opere, nel cui ambito spiccano le illustrazioni, realizzate negli anni '20, per "Il Libro idolatrico", che registra fantasie di dominazione femminile, ove le gambe e i piedi assumono il ruolo di strumenti di raffinate torture inflitte, come ha scritto Witkiewicz, ad "uomini-aborto, nani resi umili dalla sofferenza erotica, avviliti e colmati, nella loro umiliazione, di un piacere supremo e doloroso". "Si tratta" - precisa Vittorio Sgarbi, che nella sua veste di studioso appassionato dell'opera schulziana interverrà lunedì prossimo all'inaugurazione della mostra - "di un ciclo che si colloca in un'atmosfera di matrice simbolista. Altrove, invece, si toccano declinazioni più sensibili al grottesco, in qualche modo accostabili all'Espressionismo, ma che rimangono distinte dalle cadenze più aggressive di un Grosz e di un Dix. Come nell'opera letteraria, Schulz fa sovente uso di alterazioni fantastiche, di cui si trovano tracce anche negli schizzi più naturalistici, come le scene di strada o le raffigurazioni di gruppi di ebrei chassidim".
Accanto alla mostra si svolgeranno nei prossimi giorni altre iniziative legate alla figura di Bruno Schulz. Un incontro con Oleg Mincer, Laura Salmon e Anna Vivanti nel foyer del Teatro della Tosse metterà a fuoco, nella serata di martedì 6 febbraio, le radici ebraiche della sua scrittura. Mentre una settimana dopo Umberto Silva parlerà, nella stessa sede, sul tema "Personaggi e paesaggio nei disegni di Bruno Schulz".

s.r. (febbraio 2001)





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