Hozro: materiali sulle arti visive a Genova





INTERVISTA A GIOVANNI RIZZOLI



 




S.R. - Ripensando alla tua ultima mostra, da Caterina Gualco, alle partizioni che hai studiato per il catalogo, il tuo lavoro sembra così diramato ... nel senso che tu hai cose di pittura che poi rientrano solo trasversalmente nella definizione, i disegni, i damaschi, le fusioni, le "preposizioni"...

G.R. - Vedi, più che diramato (un termine che mi fa pensare a qualcosa di centrifugo), direi che il mio lavoro è nello stesso tempo molto semplice e molto complesso. Circolare, in un certo senso. Se si vuole vederlo, apprezzarlo, bisogna incontrarlo un po' tutto.

S.R. - Vuoi dire che la differenza è funzionale, pensata in rapporto ad un progetto?

G.R. - No, niente di così programmato. E' più naturale, direi. Qualcosa che si snoda attorno ad un soggetto, al pensiero e al sangue, alla carnalità...

S.R. - In effetti questa doppia polarità si avverte. Alcuni lavori, le preposizioni ad esempio, hanno un risvolto mentale; altri, come i disegni, rivelano un coinvolgimento più fisico, anche al livello dei materiali: il mattone sbriciolato, le alghe, gli escrementi... il sangue stesso.

G.R. - Sì, mi è successo di disegnare col sangue. O con le alghe, in certi lavori in cui volevo fare Venezia, in qualche modo "essere" Venezia. Ma ho smesso di pensare al mio lavoro come scompartito in un aspetto per così dire "metafisico" ed un'altro, invece, "mondano". E', se mai, questione di densità d'informazione.

S.R. - Che nei disegni è più alta.

G.R. - Certo, i disegni sono un'estensione di te, li fai con la tua mano, diventano delle mappe precise di te come persona e come artista. Mappe che esprimono sicuramente il tuo pensiero ma anche la tua carnalità, l'umanità direi. Anche gli altri lavori, più razionalizzati, più sofisticati nel senso autentico del termine, veicolano informazioni. Ma solo quelle che io voglio passino. Oppure, come accade nelle "flebo", quelle che di per sé hanno modo di passare.

S.R. - Ma questa circoscrizione del flusso informativo non sembra collimare del tutto con l'uso di materiali inconsueti, preziosi.

G.R. - Al principio pensavo così, se vuoi ingenuamente... di dover scegliere dei materiali d'elezione. In questo mi ha aiutato molto il periodo trascorso a New York, la frequentazione di Louise Bougeois. Che mi ha fatto comprendere come il materiale, il marmo, il bronzo ...

S.R. - Il damasco ...





G.R. - No, il damasco è venuto dopo, forse proprio in funzione di questo e di un'altra cosa che i periodi trascorsi all'estero, con la separazione in qualche modo violenta dalla scena abituale, mi hanno dato modo di apprendere: saper guardare alla mia terra... Dicevo, Louise Bourgeois mi ha fatto capire che i materiali non sono importanti in sé, che se hanno una loro indubitabile bellezza, non sono già forma. Come gli oggetti che associo nelle "preposizioni" non sono ready-mades, non debbono stupire in senso avanguardistico, ma costituire, "formare", un'unità nuova. O le fusioni, che non vogliono essere una replica di "objects trouvés" ma una trasformazione, o una riflessione sulla trasformazione.

S.R. - Al di là dell'aspetto sontuoso e del riferimento veneziano, quindi, hai iniziato ad usare i damaschi per...

G.R. - In realtà nell'impiego dei damaschi c'è stata un mutamento. Originariamente li usavo per il loro aspetto visivamente ambiguo, come "delusione della forma". Rispetto all'arte contemporanea che, in una certa accezione, vuole dei lavori assolutamente nitidi, croccanti, persino algidi, il damasco mi consentiva di realizzare questi tondi che da lontano paiono compatti, monocromi ma che, se vai appena un poco più vicino, mostrano la trama. E la trama ti riconduce all'umanità. E' quasi una delusione della forma, dell'assoluto, da un punto di vista metafisico. O meglio: è un lavoro metafisico, che però lascia trasparire le sue radici umane.

S.R. - In seguito quest'idea si è complicata.

G.R. - Si è molto complicata, sì. Con dei passaggi successivi...

Su questi damaschi ho iniziato ad evidenziare dei fiori, alla fine del '90, aggiungevo dei materiali, volevo andare oltre quest'idea della delusione della forma che sentivo, da un certo punto di vista, superata. E intanto mi ero fatto sedurre dal damasco, lo amavo dipingendoci su... poi sono arrivato ad altri tipi d'intervento, nel '92, con la flebo, su un tondo che ho donato a Giorgio Verzotti che aveva scritto un testo per la mia seconda mostra da Claudio Ruggieri, alla Galleria Pinta.

S.R. - Allora usavi un preparato standard.

G.R. - Sodio-cloruro 9%. Era una flebo vera, con appena un po' di pigmento, un rivolo azzurro che scendeva a toccare il damasco. Più tardi ho usato altri liquidi, con una più netta connotazione simbolica, vino, latte, olio, sangue.

S.R. - Era un po' come se la pittura scendesse liberamente sul quadro..

G.R. - In pratica il solo gesto consisteva nell'inserire l'ago nel tessuto, nell'aprire la valvola. Ma direi che c'era un aspetto più forte... Io, anni fa' ho avuto dimestichezza con le flebo: è come essere attraversati da qualcosa da cui non ti puoi allontanare, da qualcosa che entra nel tuo corpo, che svolge la sua funzione lasciandoti impotente. La flebo è un assoggettamento, un sottile subire. Quindi la pittura scorre sì liberamente, in un modo che è sempre diverso, ma al tempo stesso affonda nel quadro, lo compenetra.

S.R. - Un allontanamento dal segno personale che si risolve nel lasciarsi invadere dalla pittura. E' un tratto che ricorre nella tua opera, qualche volta ribaltato come nei disegni fatti col sangue, ma forse più spesso in una disposizione empatica. Accennavi prima ai lavori realizzati con le alghe, essere Venezia, laguna. Od anche il ciclo degli "angeli", se è un ciclo...

G.R. - L'angelo un disegno ricorrente, per me. Da sempre. Questi angeli su vetro li ho iniziati di recente, però, da due mesi o tre... Ho usato il vetro perchè mi sembrava il materiale più idoneo, fragile e insieme durevole, trasparente.

S.R. - L'angelo è asomatos, incorporeo...

G.R. - C'è in questo anche una posizione un po' gnostica rispetto al corpo, lo trovo forse troppo denso, troppo concluso. Ma in fondo anche in noi c'è una componente angelica, la capacità di essere entro ed oltre, d'invocare e di evocare. Di apprendere, attraverso l'apertura-chiusura-apertura del simbolo e dell'immagine a divenire tramiti consapevoli alla bellezza.

s.r. (1994)

(immagini tratte da "Vaso provvisorio", installazione presentata alla Biennale di Venezia 1999)





HOME PAGE

ARCHIVIO ARTISTI

MOSTRE A GENOVA