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PERILLI PITTORE DELL'IRRAZIONALE GEOMETRICO

"Sono uno schizofrenico diviso tra due diverse personalità: il mondo costruttivista e il mondo dada-surrealista" affermava anni or sono Achille Perilli in un'intervista pubblicata nel catalogo della retrospettiva dedicata qualche anno fa' al gruppo "Forma" - costituito agli inizi del 1947, a Roma, da Accardi, Attardi, Consagra, Dorazio, Guerrini, Perilli, Sanfilippo, Turcato - dal Museo di Gibellina. Per quanto paradossale e forzata (l'artista lavora infatti non sulla dissociazione ma sulla sintesi degli opposti sopra accennati) quest'indicazione risulta prezioso per inquadrarne il lavoro. E in effetti sin dagli inizi, dagli anni appunto di "Forma", emerge nel lavoro di Perilli questa duplice radice, nel precoce interesse per il Surrealismo, nutrito dalle suggestioni raccolte durante un soggiorno compiuto a Parigi con Dorazio e dall'incontro con Antonin Artaud, cui faceva riscontro una pratica pittorica orientata verso l'astrattismo geometrico, assunto peraltro - notava Ponente - "come ipotesi e non come certezza" in un quadro di tensione partecipativa verso il sociale.
Se, nel corso degli anni '50, l'interesse critico per la costellazione dada-surrealista si mantiene vivo (è del '54 un suo articolo per "Civiltà delle macchine", "Antologia dada" scritto dopo aver conosciuto a Berlino Hannah Höch; del '56 l'incontro con Tzara mentre l'anno successivo crea con Gastone Novelli la rivista "L'esperienza moderna" uscita in cinque fascicoli monografici consacrati a Schwitters, Arp, Hausmann, Wols, Gorky), l'ispirazione geometrica cede invece gradualmente il passo ad una ricerca postinformale incentrata su un sottile segno calligrafico "quasi mai autosignificante e paradigmatico; quasi sempre allusivo, psicologico, onirico, della memoria, trasposto, referente, lirico" (Tomassoni) parallela all'esperienza condotta nel medesimo arco di tempo da Novelli e Cy Twombly.
L'immagine pittorica (ed è, questo, un ulteriore indizio della aspirazione sempre viva in Perilli ad un lavoro di connessione fra codici espressivi differenti, testimoniato anche dalla collaborazione con poeti come Alfredo Giuliani o, in teatro, con il Gruppo Altro) si articola allora gradatamente in sequenza di episodi, di tracce fantasmatiche concatenate secondo uno schema narrativo prossimo a quello delle strips fumettistiche sino a recuperare, attorno al '68, all'interno dei profili instabili ed irregolari una nuova configurazione, apparentemente geometrica, che si vuole in realtà sovvertitrice della prospettiva (qualificata come "repressiva"), "folle immagine" prodotta da leggi di strutturazione automatica, di accrescimento della complessità, di percorribilità labirintica, di esaltazione dell'ambiguità comunicativa.
È quindi l'idea di trasformazione non premeditata anziché la volontà di compiutezza a generare il metodo formale di cui Perilli si vale per risolvere il problema, posto da El Lissitzkij, di "configurare lo spazio immaginario attraverso un oggetto materiale", il dipinto. Un metodo che, a partire da una figura matrice (dapprima un parallelepipedo, da ultimo un quadrato posto al margine della tela), sviluppa - scrive Elisabetta Cristallini - "automaticamente e per proliferazione altre figure irripetibili, instabili, complicate, magicamente sospese", architetture che eludono il rigore del codice geometrico attraverso il gioco di proprietà e impossibilità prospettiche, degli accostamenti cromatici ambigui per consentire il dispiegarsi delle potenzialità creative dell'irrazionale.

s.r. (1990)





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