Hozro: materiali sulle arti visive a Genova





REISEBILDER

(MAURO MANFREDI)

Se il titolo suscita l'immagine (anzi: il susseguirsi delle immagini) colta durante il viaggio, riportandosi all'exemplum heiniano, ove il quadro paesistico si mescola alla fantasticheria romantica ("preso da simili sogni, giunsi - ed ero un sogno io stesso - in Italia") senza tralasciare tuttavia una sorta di sociologia impressionistica o nascondere la passione politica, l'itinerario restituito da Mauro Manfredi nei suoi Reisebilder, quantunque riferito, in fatto, ad un soggiorno in Austria, sembra ricondursi ad un ambito circoscritto, all'interno del quale sono possibili innumerevoli combinazioni ma che non par ammettere l'esodo, impedito da un saldo perimetro quadrangolare.
All'ironia heiniana (dell'"Harzreise") verso l'ordinato, tranquillo, ragionevole paesaggio tedesco, si saldano qui - forse - altri pre/testi, il Voyage autour de ma chambre e la flânerie che, nell'interpretazione di Benjamin, permette di vivere la citt come scissa nei suoi poli dialettici: aperta come scenario e racchiusa, appunto, "come una stanza".
Rispetto alle derive evocate nelle mappe psicogeografiche situazioniste (per tutte la Naked city debordiana) lo scarto è costituito dall'univocità dell'esperienza, dalla soppressione dello spaesamento indotto dalle atmosfere contrastanti dei diversi quartieri, dalla scomparsa della dimensione temporale, cos come, rispetto ai City Pieces di Yoko Ono (Draw an imaginary map. / Put a goal mark on the map where you / want to go. / Go walking on an actual street according / to your map.) i Reisebilder di Manfredi dismettono azione ed aleatorietà, riducendo - al di l del riflesso visivo del giardino metodicamente sistemato (come non ricordare le piante e le ripetute misurazioni del Capitano nelle "Affinità elettive"?) o dei vialetti ortogonali dei cimiteri di campagna - la flânerie e il viaggio stesso alla loro essenza: "fare piani".
La città, d'altronde, è ancora Benjamin a rammentarlo, rappresenta "la realizzazione dell'antico sogno umano del labirinto". In qualche modo implicita nella griglia di "New York City", dipinto da Mondrian nel 1942, e tematizzata poi da Constant e dai situazionisti olandesi, dal CIRA e dal GRAV, l'idea del labirinto pare nitidamente dispiegarsi, in forme vagamente fin-de-siècle nei lavori ricavati da Manfredi sul fondo nero, patentemente luttuoso, di alcune tovagliette traforate, reperite lungo il tragitto.
Ma, ed è ciò che forse più conta, l'ipotetico filo d'Arianna che si distende lungo i corridoi di questi disciplinati dedali, è un flusso di parole, una sorta di cruciverba nonsensico in cui si mescolano i resoconti, cristallizzati in un'anacronistica attualità, dei giornali austriaci dell'estate scorsa.
Al labirinto come luogo enigmatico dove - inscenato il disorientamento - risulta comunque possibile ritrovare il cammino, si sovrappone così l'ordinata e per irriducibile babele del linguaggio. E, compiuta la Trauerarbeit, si esercita nei riquadri bianchi, costellati di minuscole figure colorate, l'altra parte del culto d'Arianna a Nasso, la festa gioiosa, la danza, anch'essa ordita da Dedalo, colui che, secondo l'etimologia greca, "lavora artisticamente".

s.r. (1995)





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