Hozro: materiali sulle arti visive a Genova






RICCARDO LAGGETTA: GEOMETRIE URBANE

Ciò che si vede (che è inquadrato): un'immagine ricorrente di scorci urbani, differenti fra loro ma tutti egualmente anonimi, disancorati dalla specificità del modello. Profili di edifici, fughe concentriche di scale, rampe oblique, ambienti deserti da cui le vetrate immettono sull'esterno, su un panorama ostruito da altri fabbricati od aperto su un tratto limpido di cielo, sul variare di nuvole incombenti.
Immagine che enuncia apertamente lo spunto fotografico (assorbito peraltro nel procedimento pittorico: "Fare la fotografia è altrettanto importante del dipingere il quadro", scriveva Richard Estes) per oltrepassarlo, minandone paradossalmente l'obiettività attraverso una mimesi che di per sé stessa introduce in una dimensione interpretativa.
Il tema reale risulta costituito, perciò, non dallo scenario effigiato (che parrebbe tuttavia attingere una valenza esemplare della condizione contemporanea) bensì dalle modalità della rappresentazione che - imperniata dapprima su una serrata dialettica fra la strutturazione geometrica, fondamentalmente astratta, articolata in campiture nere o metalliche (neutre) connesse da elementi lineari (griglie, intelaiature) che scandiscono con regolarità il dipinto e le capricciose volute chiaroscurate degli sfondi - accenna ad evolvere verso uno sfaldamento delle forme ed una stratificazione cromatica che dissolvono la nitidezza dei soggetti.
Si dispiega così, in questa serie di lavori, un impulso pendlare fra contrapposte opzioni metaforiche (una dominante fredda, inespressiva, alternata ad inflessioni più mobili da cui affiora, seppur sempre composta, un a sorta di turbolenza pulsionale) e spaziali (chiuso/aperto, prossimo/lontano; superficiale/profondo) che determina l'instaurarsi di una tensionalità vibrata che persegue - provocandone l'istantanea oscillazione - un effetto di accrescimento del senso.

s.r. (1987)



LAGGETTA E BRUNNER ALL'UNIMEDIA

La rappresentazione di un caos in cui vigono, peraltro, "attimi di certezza" costituisce il tema dell'esercizio pittorico di Felix Brunner (artista svizzero che per qualche tempo ha tenuto studio a Genova) che procede verso una sorta di smaterializzazione nel cui ambito - scrive in catalogo Urs Stahel - "il dato solido-oggettuale perde la sua forma greve e nettamente definita, mentre il colore agisce come fattore dinamizzante e il quadro diviene così un campo di energia". Steso in più strati sulla tela tramite un listello, il colore risulta sfumato, talora quasi dissolto da interventi eseguiti a spugna e lascia emergere, in una temperie surreale "come contrappunti o limpidi punti di cristallizzazione, gesti liberi ma ben definiti o forme geometriche". L'aspetto che con maggior pregnanza connota il lavoro di Riccardo Laggetta - che contemporaneamente a Brunner espone nelle sale della Galleria Unimedia - è invece quello di un'essenziale dialettica fra la strutturazione forte dell'immagine e la fluidità emozionale, la cui espressione è affidata al gioco delle intensità cromatiche. Nei dipinti presentati lo scorso anno al "Brandale" di Savona queste differenti polarità si dispiegavano in termini antitetici, evidenziando il contrapporsi della scansione geometrizzante dello spazio, ricercata in scorci di paesaggio metropolitano in- quadrati da grate, ringhiere od altri elementi lineari intersecantisi, con l'addensarsi mutevole del colore negli sfondi od in taluni squarci di cielo rannuvolato. Ora - diversamente - Laggetta sembra muovere verso una sovrapposizione delle due componenti, "affondando" per così dire lo schemacostruttivo e portando in primo piano esclusivamente la tramatura cromatica (da quello tuttavia inavvertibilmente governata) dando luogo in tal modo ad una "aggregazione di accessi figurativi ed extrafigurativi supportati da una transitorietà informale poggiata su un tessuto di segni strutturali profondi il cui fine è di mediare la reciprocità delle singole parti nell'unità visionaria" (Beringheli).

s.r. (1988)



RICCARDO LAGGETTA: A PARTIRE DAL NERO

Tela, cartone, foglio: superfici piane che a stento possono definirsi oggetti, prive come sono "dello spessore, della densità, della rugosità della cosa". D'un bianco discreto, che non cattura l'attenzione, ma - nota Dufrenne - egualmente provoca l'artista, sollecitando l'irruzione del colore per essere cancellato, per poter svanire. Eppure, se anche non contraddetto nel processo materiale, può accadere (accade) che questo schema, assimilabile in qualche modo alla creazione ex nihilo, venga ribaltato. Che il tratto provocatorio sia rappresentato dal polo opposto del registro acromatico. Che (mentalmente, certo) il dato di partenza non sia il bianco, ma il nero e nel dipinto si attui non una stratificazione bens un assottigliamento discontinuo del colore. Si muove, allora, dall'oscurità. Dal tono (tutt'altro che asettico, marcato da una vistosa compromissione fisica) della materia bituminosa o magari carbonizzata per giungere, attraverso il bruno acceso, attraverso il grigiore ancora non spento della cenere, ad un bianco calcinato. Quella che viene in luce è un'architettura estratta intuitivamente dal deposito opaco che l'occulta in virtù d'uno svelamento rimasto incompiuto, che - nelle opere ultime di Riccardo Laggetta - si afferma in un concreto accenno di scavo. Un'immagine labile non perché "l'insistenza nell'evocarne la somiglianza ne abbia determinato, nei vari passaggi del lavoro, la cancellazione" ma, al contrario, perché arrestata alla soglia dell'evidenza, nella "sua proiezione immediata sul supporto che l'accoglie precariamente, senza fissarla" (Jacques Dupin). Si tratta, in definitiva, d'una messa fuoco dell'indistinto che si propone di esaltare la dimensione suggestiva dell'immagine colta allo stato nascente anziché dissolverla, con un oltrepassamento solo apparente, nella mera emozionalità informale. D'una parvenza che sembra collocarsi in uno spazio ancora non assuefatto a visione e concetto, in quella "zona d'incertezza ove", secondo un'espressione di André Berne Jouffroy, "possibile e reale si sfiorano". E se - in questi rilievi minimi, pensati come pannelli d'un polittico in espansione - s'attenua l'iperestesia della nuance caratteristica della fase antecedente, non vi si delinea per un meccanico aggrapparsi alla solidità dello schema prospettico: vi si realizza, piuttosto, una contaminazione infrequente di saldezza spaziale e temporalità, una sostanza d'immagine "densa di fluido".

s.r. (1991)





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