Hozro: materiali sulle arti visive a Genova





Il Museo di Villa Croce allestisce, nella mansarda, dal 10/12/1999 al 9/1/2009, una mostra di incisioni, tavole, ex libris, edizioni di Mimmo Guelfi, evocandone la collaborazione a "L'Eroica" di Ettore Cozzani e l'impresa delle edizioni de "La Tarasca". Diamo conto della figura di Guelfi con un articolo recente composto per la pubblicazione del quaderno della Fondazione Novaro dedicato all'artista che vedeva nel suo lavoro "solo una figua ch'a aggiutte a distingue e erbe servaeghe da-e erbe gramme".





MIMMO GUELFI

All'imperativo programmatico di Voltaire, "bisogna coltivare il nostro orto", impegnativo quanto ristretto ad una dimensione essenziale, Mimmo Guelfi opponeva per sè, con un caratteristico tratto di understatement, la necessità di una ulteriore riduzione di scala. Per lui, diceva, "chi non può coltivare il campo coltiva l'orto e chi non può curar l'orto coltiva il vaso di basilico sulla finestra: e io mi metto fra questi".

Se può valere per l'intima adesione ai temi trattati, il paragone non corrisponde però alla complessità ed all'ampiezza di raggio delle ricerche svolte da Guelfi, al suo trascorrere con naturalezza dall'arte incisoria, coltivata anche per la produzione di ex libris, alla poesia; dalla composizione di volumi e plaquettes raffinate, stampate con un torchio a mano sibi et paucis, per sé stesso e pochi altri, agli studi pionieristici sulla canzone popolare ligure.

A ricostruire le sfaccettature della personalità artistica di Guelfi e gli eventi che s'intrecciano nel suo percorso viene ora un quaderno monografico di "Riviera Ligure", licenziato dalla Fondazione Novaro in questi giorni, in un incontro tenuto presso la Biblioteca Berio, con la partecipazione di Adriano Sansa, Laura Malfatto e Giorgio Devoto. A Guelfi, "artista anomalo", è dedicato il saggio d'apertura, dovuto a Gian Luigi Falabrino, che ne mette a fuoco la formazione d'impronta simbolista mutuata nella seconda metà degli anni '20 dalla cerchia dell'Eroica di Ettore Cozzani ed il successivo affiorare di un'inclinazione alla "attenta osservazione della realtà che non scade mai a banale realismo", riversata nelle tavole migliori del periodo giovanile (Bonaccia, Rio Bo, Tacita per amica silentia lunae). Due linee di tendenza, queste, destinate ad interagire produttivamente nella creazione del capolavoro della maturità: il ciclo delle "Radici", esposto al "Vicolo" nel 1971, dove l'osservazione del dato naturalistico si trasfigura in simbolo dell'"animo umano nella sua complessità, nella sua stessa imperscrutabilità", secondo un procedimento analogo a quello attivato da Montale in Ossi di seppia.

"Le Radici" - annota Giovanna Rotondi Terminiello in altro testo incluso nel quaderno - "dimostrano la grandezza di un artista che ha saputo rinnovare negli anni il proprio linguaggio espressivo. La tecnica dell'acquaforte gli permette di costruire una trama di linee parallele dinamicamente nervose tracciate in modo più o meno fitto e a seconda degli effetti chiaroscurali voluti e sfrangiate pittoricamente grazie ad un andamento irregolare o puntiforme" da cui scaturiscono "forme primordiali, che estendono con forza vibrante i loro ciechi tentacoli verso il nitore luminoso di spazi metafisici".

L'attività di Mimmo Guelfi come animatore di cultura è ricostruita da Francesco De Nicola, che ne individua l'aspetto saliente nella fondazione con gli amici Domingo Solari e Cardo Ferrari della casa editrice "All'insegna della Tarasca", (con richiamo al leggendario mostro che infestava le rive del Rodano, debellato dalle tre Marie protettrici degli zingari) nel cui ambito ebbero luogo le "scoperte" di Edoardo Firpo, con la stampa sul finire del 1930 della raccolta poetica O grillo cantadö, e di Giovanni Descalzo, la cui silloge, Risacca, apparve invece nel 1933. Al di là della raffigurazione del clima culturale genovese dell'anteguerra De Nicola si misura specificamente con gli esiti di Guelfi scrittore: gli epigrammi di Erbe sarvaeghe (1975), nei quali "sono condensate molte delle qualità intellettuali di Guelfi: la concisione e l'arguzia, la modestia e l'essenzialità, l'incisività e la molteplicità di toni e d'interessi" e le poesie "più vagamente descrittive e discorsive" di Trittico (uscito postumo nel 1988).

Ma lo scritto che restituisce con maggiore immediatezza la personalità di Guelfi (insieme alla verve polemica del suo inedito Dialoghetto tra un venditore di ex libris e un uomo semplice) viene da un giovane artista, Francesco Sciaccaluga, che lo frequentò negli ultimi mesi di vita, fra il 1987 e il 1988, nella "Stamperiuola all'insegna della Tarasca" di Salita Pietraminuta, dove riprendendo l'antico nome dal 1970 componeva libri di autori come Wilde e Shelley, Sbarbaro e Montale, cartiglie di Ettore Serra e Giuseppe Cassinelli. Qui, dopo aver ricevuto i primi rudimenti tecnici, l'allievo racconta di aver portato, titubante, la prima lastra incisa in segreto, scoprendo nell'anziano maestro, che subito stampa con lui la prova, un entusiasmo contagioso. "Era felice. Non della stampa in sé ma del fatto che avevo provato, che la sua passione in qualche modo mi aveva toccato. Su quel foglio, quando fu asciutto, scrisse: "Evviva"!".

s.r. (luglio 1999)







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