Hozro: materiali sulle arti visive a Genova



 

 

I GRANDI TEMI DEL FUTURISMO A PALAZZO DUCALE

Eccola di nuovo sotto i riflettori, l'arte rivoluzionata "a suon di schiaffi", a colpi di manifesti e di quadri, di "serate" convulse sui palcoscenici italiani, chiuse per il solito sotto il lancio di ortaggi. Ecco, di nuovo, l'utopia della città da rifabbricare "simile ad un immenso cantiere tumultuante, agile, mobile, dinamico in ogni sua parte", la "modernolatria" esasperata sino al paradosso, la velocità come fine, la poesia che esige la liberazione delle parole dalle costrizioni sintattiche.
Sfrontata, contraddittoria, persino chiassosa nel gioco (serio) d'interpretare, o di precorrere, le dinamiche della società di massa, le grandi trasformazioni tecnologiche dei mezzi di produzione e di comunicazione, l'arte futurista riempie da ieri i saloni di Palazzo Ducale, trasformati in labirinto affollato da pi di quattrocento lavori. Una testimonianza imponente dell'attività creativa del movimento marinettiano che, proprio in virtù della sua ampiezza, giunge a configurarsi come una sorta di opera collettiva dove gli apporti individuali si integrano nello sforzo globale di "ricostruire l'universo".
Ad un simile risultato, che si palesa in piena sintonia con lo spirito del movimento, per cui "la creatività cessa di essere il prodotto del singolo e diviene il frutto di un'attività di gruppo in cui ciascun artista, sostenuto da un'ideologia comune, contribuisce a elaborare una nuova estetica" (Salaris), concorre l'impianto della mostra articolato dai quattro curatori (Enrico Crispolti, Guido Giubbini, Franco Ragazzi e Franco Sborgi) non sull'usuale criterio cronologico ma su un ventaglio di ben undici temi.
Una scelta, questa, originata dall'intento di rendere adeguatamente la complessità del progetto futurista ma che consente di verificare la sostanziale continuità del suo svolgimento, sconfessando - al di là del distinguo operato in catalogo da Guido Giubbini fra le componenti di "avanguardia" e di "stile" - l'invalsa contrapposizione fra Primo e Secondo Futurismo: l'uno, collocato fra il 1909 ed il '17, dipinto come grande periodo di rottura linguistica; l'altro, fra le due guerre, come fase di recupero istituzionale e di fissazione della ricerca in maniera.
In verità il dialogo intrattenuto di volta in volta con il Simbolismo divisionista, il Cubismo (e, nell'ultima esperienza di Boccioni, con l'Espressionismo); con il Costruttivismo lambito attraverso le varianti "meccaniche" proposte negli anni '20 da Pannaggi e Paladini od infine con l'astrazione cosmico- surreale introdotta nel successivo decennio da Prampolini testimonia il persistere nel tempo della ricerca d'un rinnovamento continuo linguaggio plastico, in aderenza alle istanze pi aggiornate del panorama internazionale.
Il percorso della mostra inizia dalla "metropoli", ambiente d'elezione dei futuristi, evocata attraverso la pittura (spiccano qui la celeberrima "Rissa in galleria" (1910) di Boccioni, il "Ritmo plastico del 14 luglio" (1913) di Severini, il "Camion" (1915) di Sironi) e con le tavole dedicate da Sant'Elia al tema della "Città nuova" (1913); con le "Costruzioni per una metropoli moderna" (1914) di Mario Chiattone, provenienti dal Dipartimento di Storia delle Arti dell'Università di Pisa, i progetti di Alberto Sartoris (uno dei pochi futuristi ancora viventi), le architetture lirico- espressioniste di Virgilio Marchi.
La "velocità", tratto caratteristico del vivere contemporaneo, è sondata sotto i profili del moto umano, protagonista della "Bambina che corre sul balcone" (1912), uno dei capolavori di Balla, e del dinamismo animale (con il ritrovato studio di Depero per "Nitriti in velocità" (1934) della Galleria d'Arte Moderna di Nervi; nell'accelerazione meccanica ("Il motociclista" (1914) di Achille Funi; "Velocità di motoscafo" (1919-24) di Benedetta) o addirittura nella collisione, come nella sorprendente scultura in legno e latta "Incontro di prue" (1929) di Farfa, prestata dalla Galleria Narciso di Torino.
Al centro della sezione dedicata alla "Simultaneità" alcuni pastelli ed olii di Gino Severini, che unisce in cui la visione, il ricordo e la sensazione si fondono, mentre fra le opere raccolte intorno al tema dell'"Individuo" compare un consistente nucleo boccioniano (che include il "La madre" (1910-11) della Galleria d'Arte Moderna Ricci Oddi di Piacenza e un "Antigrazioso" (1912) appartenuto a Margherita Sarfatti) accanto all'intrigante "Autoritratto tricolore" (1927) di Balla, contornato da un'originale cornice multicolore in rilievo.
"Lo stato d'animo", tentativo di comunicare "un'emozione ... avvolgendo nel ritmo plastico colui che osserva, ricorrendo il meno possibile alle forme concrete (oggetti) che lo hanno suscitato", trova la sua espressione pi tipica nello studio di Boccioni proveniente dl CIMAC di Milano: "Stati d'animo: quelli che vanno" (1911) in cui si può cogliere il legame del Futurismo con le problematiche simboliste.
Valenze simboliste anche nei disegni di Romolo Romani ("Gocce che cadono sull'acqua", 1909/11) nella sezione intitolata alla "Natura" dove campeggia la luminosa "Compenetrazione iridescente n. 7" (1912) di Balla, proveniente dalla Galleria d'Arte Moderna di Torino.
Ancora Balla, con un bozzetto del 1914 per il "Mercurio passa davanti al sole, apre la sala riservata al "Cosmo", dove s'incontrano - fra l'altro - un bel collage del '30 Prampolini, "Intervista con la materia" e lo splendido "Pi pesante dell'aria" (1933-34) di Fillia, di collezione genovese.
Eccentrica, in certa misura rispetto alle radici positivistiche del Futurismo, la stazione centrata sulla "Spiritualità", dove pure si rintracciano, in opere di Fillia e di Acquaviva brani di autentico afflato religioso.
Stipata di suppellettili: mobili, arazzi, vesti, ceramiche, progetti, "La casa", dove Farfa e Tullio d'Albisola (con il bassorilievo "La lana", del 1937) affiancano a Balla e Depero. Fra i molti lavori di quest'ultimo compare una vetrata già esposta a Palazzo Ducale nella mostra della Plastica Murale Futurista del 1934.
Alcuni bozzetti di Prampolini e Virgilio Marchi facenti parte delle raccolte del Museo Biblioteca dell'Attore si notano in un comparto, quello della "Scena", che gli spazi contenuti necessariamente sacrificano, ma al cui interno incontriamo, ancora, un grande bozzetto di Pannaggi per "I prigionieri di Baia" di Marinetti (1941, collezione Cassa di Risparmio di Macerata) e la "Pianista" (1932), scultura in legno di Mino Rosso.
Dalla Wolfsonian Foundation, della cui donazione al Comune di Genova si continua a discutere, vengono alcuni fra i principali dipinti (di Andreoni, Prampolini, Thayaht) sul tema della "Guerra", definita da Marinetti "sola igiene del mondo" in una prospettiva di palingenesi cruenta. Accanto ad essi uno "Sbandieramento" (1915) di Balla già esposto in città nella "Grande Mostra Futurista" allestita nel 1919 presso la Galleria Centrale d'Arte e il grande collage "Marinetti temporale patriottico", realizzato da Depero nel 1924.
Un discorso a parte meritano le mostre collegate, intorno al Futurismo ln Liguria ed in omaggio all'aviatrice Carina Negrone. Su queste occorrerà tornare, così come su qualche particolare aspetto della rassegna principale. Che, nonostante le perplessità alimentate, prima dell'inaugurazione, dall'assenza di buona parte dei capolavori futuristi custoditi nei musei stranieri, si conferma iniziativa di alto livello, al momento, con ogni probabilità, la più importante nell'ambito nazionale. Capace - cosa che più conta, secondo il neo-assessore Pierantoni - di restituire al pubblico, nel congegno giocoso dei colori e delle forme un modo "felice" di vivere l'arte.

s.r. (dicembre 1997)





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