Hozro: materiali sulle arti visive a Genova







FOURTEEN EMERGING ARTISTS FROM LIGURIA

Nel panorama della ricerca artistica italiana pił recente,la situazione ligure si presenta indubbiamente come un caso del tutto particolare. L'articolazione delle scelte operative condotte in un clima di sperimentazione che unisce artisti di diverse generazioni - dai giovanissimi a coloro che sono ormai sulla soglia dei quarant'anni - ne costituiscono infatti un segno evidente. Questa molteplicità di opzioni - ben lontana, peraltro, sia per l'intensità che per la qualità delle singole esperienze, da un generico eclettismo culturale - presenta indubbiamente una serie di coordinate comuni che costituiscono una sorta di piattaforma condivisa a prescindere dal carattere specifico delle singole ricerche.
Fra queste sembra doversi rilevare innanzitutto la volontà di rapportarsi criticamente ad un dibattito culturale vasto, di orizzonte internazionale,superando non tanto carenze d'informazione (nel "villaggio globale" istituito dall'elettronica ormai tutto circola in tempi pressochè reali), quanto piuttosto il ritegno di confrontarsi direttamente e in prima persona con questa realtà culturale di ampio raggio: e, soprattutto, in una dimensio ne attiva, non subordinata.
D'altra parte, sia la velocità dell'informazione che il prodursi a livello internazionali di analoghe tensioni e prese di coscienza - al di là delle apparenti declinazioni locali - ha oggi indubbiamente creato scambi più agili e immediati con quelle situazioni culturali che sono state tradizionalmente considerate come trainanti, stabilendo un rapporto interattivo che ha perlomeno attenuato la considerazione dell'esistenza di luoghi privilegiati ed esclusivi dell'avanguardia.
La caduta della concezione "mitica" dell'avanguardia, ne ha consentito la riproposta in una dimensione dialettica, nelle sue valenze originali e comunicative, strettamente connesse all'operatività: se ne è perso dunque il carattere di modello stabilizzato cui era divenuto possibile riferirsi unicamente in termini di derivazione stilistica e culturale. Ma questo atteggiamento comporta, ci pare, ugualmente l'esigenza di rendere espliciti i rapporti, di creare possibilità di circolazione per il proprio lavoro: sotto la pressante esigenza del confronto, inteso come possibilità di ampliare, nello scambio, le potenzialità della propria ricerca.
A queste linee di tendenza, di cui si riscontra l'insorgere nel contesto internazionale, risponde pienamente l'evoluzione registratasi negli ambiti italiano e ligure: ne è prova - relativamente a quest'ultimo - la frequenza di proposte espositive del lavoro dei nuovi artisti, divenuta particolarmente intensa in questi ultimi due anni, dando luogo a numerose mostre, volte a documentare e verificare - complessivamente e limitatamente a singoli settori della ricerca - quanto si stava facendo sul piano della sperimentazione e, al tempo stesso, a proporre verso l'esterno le esperienze compiute. Ciò anche in un clima di maggior attenzione da parte delle istituzioni e della critica verso l'emergere di nuove situazioni. Del resto, questa stessa esposizione ospitata dal Museo Italo-Americano di San Francisco, si muove sulla linea di tali esigenze di verifica e di scambio.
La mostra, pur nella diversificazione di presenze e di linee, non intende nè può rappresentare la totalità delle ricerche in cui sono coinvolte le nuove generazioni artistiche liguri: come ogni altra manifestazione del genere nasce infatti da una scelta necessariamente parziale e limitativa. Tuttavia ci pare che essa possa fornire una visione rappresntativa di ciò che sta avvenendo. Trattandosi peraltro di una rassegna sui giovani si è voluto privilegiare il carattere di sperimentazione aperta più che irrigidire la mobilità delle esperienze in definizioni schematiche o, comunque, strettamente di tendenza.
Per entrare nel dettaglio delle scelte, si possono trovare in questa mostra lavori impostati sul rapporto segno-gesto come quello di Mario Moronti: artista che da anni conduce un'approfondita ricerca in tale ambito in una continuità culturale (più che stilistica) con le esperienze dell'Informale e dell'Action Painting. Pur con una tensione operativa che tende a connotare lo spazio - sempre più complesso e non metaforico - come luogo di una stretta interrelazione fra emozione e tensione energetica del gesto pittorico. Non a caso Moronti è uno degli artisti che piu' direttamente hanno cercato di rapportarsi alle esperienze post-informali europee e, in particolare, a quelle tedesche : non senza essere passato, negli anni addietro, attraverso un processo riduzionista che ha non poco in comune con esperienze statunitensi.
L'irruzione nello spazio, il superamento dei limiti non solo fisici ma anche psicologici della tela caratterizzano in parte anche l'opera di Piero Millefiore, la cui ricerca ha preso avvio, nei primi anni Ottanta da una serrata indagine sui rapporti interni all'immagine fotografica: tuttavia, a differenza di altre esperienze con partenze analoghe, egli ha indirizzato la sua indagine soprattutto sui diversi piani di relazione linguistica che l'immagine data propone. Dagli affioramenti di memoria agli aspetti più schiettamente linguistici che costituiscono la struttura stessa dell'immagine, attraverso un processo di sintesi e, al tempo stesso, di riduzione, ha cercato di restituire tali rapporti strutturali in forme analogiche sul piano della pittura. In questo processo ha sconvolto le dimensioni stesse dell'immagine, per dilatarne - sulla grande dimensione - le valenze espressive. All'acquisizione dello spazio come campo di esemplarizzazione delle situazioni del linguaggio, ha fatto riscontro una naturale maggior tensione del segno,divenuto ormai forma autonoma costruttiva dell'immagine. D'altra parte il segno, liberato dalla relazione descrittiva con l'immagine data, si è andato via via connotando come gesto, espressione veloce e sintetica in cui la dimensione dell'operatività si concentra al massimo grado della sua tensione.
La volontà di forzare i limiti tradizionali dello spazio pittorico accomuna, pur in forme diverse, le esperienze di Antonio Porcelli e Sergio Pavone (testimonianza concreta dell'ormai del tutto irrilevante e fragile confine che separa esperienze plastiche ed esperienze pittoriche), associate altresì da una componente ludica strettamente connessa all'inclinazione per la manipolazione dei materiali. In Porcelli, al piacere per la riutilizzazione e la riqualificazione comunicativa dell'oggetto trovato (spesso recuperato dallo scarto del consumo) si affianca il divertimento del fare artigianale: gli oggetti sono infatti rivitalizzati da un falso impreziosimento - una fitta coltre di lustrini li ricopre - che mima gli stereotipi della comunicazione di massa, in un gusto fra cultura del juke-box e del video-game. In una sorta di riattualizzazione del kitsch quotidiano che riprende sia la dimensione ironica che la riflessione linguistica di una certa pop degli anni Sessanta: pur tuttavia con un distacco critico che accentua il portato comunicativo. Tra analisi del linguaggio di massa ed ironia di ascendenza surrealista si pone il lavoro di Sergio Pavone: pur senza dovere nulla ad entrambe le esperienze ma, per contro, passando attraverso di esse, servendosi di certi loro parametri critici senza immedesimarvisi del tutto. Dell'immaginario surrealista Pavone assume infatti il carattere metamorfico, e la possibilità di mettere in discussione l'apparente realtà dell'immagine; della cultura pop assume il festoso e chiassoso cromatismo, senza tuttavia farsi coinvolgere in una vincolante indagine sugli stereotipi figurali di massa, propenso - piuttosto - a valersi di tali elementi per promuovere una divertita e fantastica attivazione dello spazio.
Contigua per certi versi a queste esperienze è l'opera di Oronzo Mazzei, passato dalla realizzazione di forme astratte, articolate nello spazio (in una sintesi di pittura e scultura, risolte rispettivamente in vistosa policromia informale ed in rilevo modulato), oscillanti fra la mimesi del mondo organico ed il richiamo a temi paesaggistici, ad un oggettualismo che accende una reazione fra gli elementi realistici che impiega come supporti (camicie, stracci ecc.) e l'intervento decorativo che li trasfigura, in una reciproca decontestualizzazione che elude la logica classica dello straniamento puntando su un'illimitata agibilità pittorica della sfera quotidiana.
In contrapposizione alla dimensione ludica di queste esperienze (ma ad esse accomunata dal concreto senso della manipolazione dei materiali) sta la volontà di recupero dell'espressività della della materia, attraverso il suo "peso" e la sua brutalità, che caratterizza la ricerca di Roberto Anfossi; benché il ricorso ad immagini date - una sorta di kitsch devozionale recuperato nella sua primarietà comunicativa - riproponga quel distacco critico dalla storia dell'arte che ritroviamo anche nell'opera di Bianca Passarelli. Questa si configura però come la risultante di un conflitto fra intento figurativo e una tendenza alla disgregazione connaturata all'immagine, che inclina a scindersi in un proliferare di autonome notazioni. L'affievolimento della struttura iconica e la trasparenza acquisita dal colore traspongono i segni sul medesimo piano, annullando ogni profondità e riducendo lo schema prospettico ad astratta costruzione geometrica. Una tale propensione decostruttiva perviene a trattenere il dipinto al di qua (non della compiutezza, bensì) della definizione, immettendolo in una dimensione di perdurante potenzialità; identificandolo come tavola delle varianti percettive suscettibili di sostituirsi all'insoddisfacente univocità della visione.
Su un analogo registro di tenuità e raffinatezza, pur in una dimensione del tutto differente, si colloca l'opera di Piergiorgio Colombara che si qualifica per la capacità di mantenersi sospesa fra il clima di un'apparizione metafisica e la volontà di far trasparire le potenzialità magiche ed oniriche degli oggetti recuperati in una sottile proposizione spaziale e linguistica ove le tensioni non sono mai esplicitate bensì impercettibilmente sottese.
Un'atmosfera metafisica si avverte altresì presente nel lavoro di Stefano Grondona, che utilizza un inedito procedimento di matrice fotografica - l'esposizione alla luce di una carta sensibile attraverso una serie di mascherine sagomate - per sottrarre all'opera ogni misura emotiva, azzerando il segno dell'autore in una resa di assoluta freddezza che assume il carattere d'una visione affiorata su una sorta di schermo. Negli scenari riprodotti con scrupolosità maniacale, secondo prospettive arbitrariamente ristrette, in cui si depositano - cifrate - suggestioni filmiche ed iconocrafiche (da Munch, ad esempio, o da Bacon), si delinea una condizione di assenza - di personaggi, di vicenda, di sentimenti - sottolineata, più che contraddetta, dal tendenziale antropomorfismo delle apparecchiature che vi campeggiano.
L'interpretazione emozionale di uno spunto originariamente naturalistico, privato tuttavia di qualsiasi palese riferimento rappresentativo (sostituito da un assemblaggio di tracciati lineari, di forme sferoidali, di elementari configurazioni geometriche che appaiono attinti ad un lessico inconscio) costituisce lo sfondo su cui si muove invece Giovanni Castiglia. Nei suoi dipinti le zone di luce e di buio, le lacerazioni della stesura di superficie da cui traspaiono gli strati sottostanti, la colorazione viva o bruciata, il gioco dei differenti materiali non si esauriscono nell'individuazione di atmosfere mediterranee, tra rigoglio e deserto, ma compongono una griglia di intensità e rarefazioni pulsionali che, associando il paesaggio interiore a quello esterno, sostanzia quest'ultimo di prossimità all'impenetrabile e riveste il primo di tangibile immediatezza percettiva.
Volto piuttosto ad una riqualificazione comunicativa dello spazio e dei suoi frammenti oggettuali (come situazioni di memoria non più determinabili) è la ricerca di Beppe Schiavetta: particolarmente in quelle opere come "Itinerant Landscape" o "The Garden of my Childhood" (presenti in mostra) in cui si combina il recupero di un'immagine primaria con l'allusività dei materiali, in una dimensione fantastica pre-tecnologica. Non distante forse, pur nella totale diversità di approccio, dalla sottile ironia sull'astrazione geometrica condotta da Andrea Crosa: la messa in questione dell'assolutezza della forma geometrica viene sviluppata attraverso un'ironia sostanziale che pone alla prova, smentendone il carattere estremo, le forme stesse, attraverso un processo di spiazzamento che si giova delle contraddizioni dei materiali utilizzati, concreti e tangibili, vivaci cromaticamente e percettivamente instabili, per sopraffare il desiderio di assoluto proprio di un'ormai lontana e incomunicante tradizione razionalistica.
Dal canto suo, Laura Carlotta opera attraverso uno schema nel quale l'assunto citazionistico di base (consistente per lo più in una riproduzione fotografica in bianco e nero su tela emulsionata di un "episodio" celebre nella tradizione pittorica) viene immesso in un circuito ironico mediante un intervento esercitato talora in modo diretto (con alterazioni di particolari, inserimenti in contesti cromatici implausibili ecc.) e talaltra, invece, grazie all'iterazione - tesa non tanto a ridurre l'immagine a "tipo" quanto a spogliarla dell'aura, banalizzandola - o ad un'ambientazione che mira a provocare lo spettatore (la cui attività è spesso indispensabile per il "funzionamento" dell'opera) istituendo un ripido dislivello fra il registro alto dell'iconografia colta e quello basso, giocoso dell'espediente (sia esso artificio meccanico o contesto profano) dispiegato a contrasto.
La pittura di Roberto Agus, infine si connota per un disegno acuto e sottilmente ironico che, se da un lato rimanda alle esperienze dell'illustrazione fumettistica contemporanea (in specie di quelle nate nell'ambito delle fanzines punk) contrassegnata da un'estrema mobilità nel fagocitare inquietudini ed immagini metropolitane, assorbe per altro verso la raffinatezza di certe soluzioni beardsleyane. Vi si riscontra un colore steso in campiture piatte e giocato in contrasti ad un tempo irreali e stridenti; un segno appuntito e sottile che dà vita ad un universo fantastico ove, senza forzature drammatiche, in un contesto di marcata indifferenza, vengono introdotti simulacri e temi ossessivi, esemplificati da una flora aggressiva e debordante così come dalla perturbante presenza d'insetti o dalla crudele inespressività delle figure infantili.

Franco Sborgi - Sandro Ricaldone

(introduzione al catalogo della mostra "Fourteen Emerging Artists from Liguria", svoltasi al Museo Italo-Americano di San Francisco dal dicembre 1986 al gennaio 1987)

 

 





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