Hozro: materiali sulle arti visive a Genova



 

DAVID REIMONDO

 

 

Quale sia stata la sostanza dell’immagine è agevole da stabilire: un calco.  Secondo la tradizione religiosa dell’occidente l’uomo stesso è immagine, ipotetico calco del suo creatore. Che non lo si realizzi più con il fango, come nel racconto della Genesi, o con la cera – come si faceva in antiquo con i volti dei morti – o ancora con la traccia pittorica, come nel mito narrato da Plinio del primo artista spinto a fissare il suo profilo dall’ombra proiettata sul muro,  ma con tecniche relativamente nuove (la fotografia, il videotape, i softwares digitali) non è decisivo. Calco, sindone, fotografia: non soltanto volumi o colori disposti nello spazio, ma spazio complesso di intermediazione fra le cose, il corpo (la cosa che è il corpo), l’idea. L’eidos, appunto, forma opposta a materia, qualità, carattere specifico, essenza, tipo, metodo, maniera, bellezza. Inquietante per la possibilità di animarsi, acquisendo “moto e respiro”, come scrive Settis.  Osteggiata come schermo idolatrico e venerata al tempo stesso da chi vi coglieva invece “una presenza dell’indicibile che scaturisce dalla materia” (Sendler).

Apparentemente sopita - e stranamente, in un’epoca in cui l’“animazione” dell’immagine ha raggiunto una effettiva producibilità tecnica - la tensione fra iconoclasti e cultori dell’immagine lascia spazio oggi ad una più spinta tematizzazione di questa come luogo in cui presenza e assenza si sovrappongono per dare luogo ad una realtà supplementare (Lanier). Tenendoci al campo, ristretto ma particolarmente significativo, della figura umana, notiamo una divaricazione accentuata fra i lavori artistici che documentano le ricerche condotte nella linea del post-umano e quelli impostati sull’appearance. Nei primi è la manipolazione reale, cruenta, del corpo ad integrare l’opera. Negli altri la messa in scena di identità fittizie, di cerimoniali recitati a vuoto, di travestimenti. La scrittura foto e videografica applicata ai due modelli produce, paradossalmente, esiti antitetici: depotenzia ciò che è reale, realizza il fittizio. Ma, in qualche modo, queste declinazioni sembrano riprodurre uno schema proprio di una situazione non più attuale, definito già negli anni ’60 tra le polarità opposte delle “antropometrie” di Yves Klein e delle Marylin di Andy Warhol.  Lo slittamento che si sta verificando, grazie anche alle nuove modalità di elaborazione ed ai nuovi supporti, sembra indirizzarsi verso un’immagine che non è più un oggetto - sia pure sui generis - da produrre ma, in qualche modo, uno stato di realtà indipendente al quale si può accedere e di cui ci si applica a cogliere il flusso.

In questa prospettiva si colloca il lavoro di David Reimondo, attivato da immagini di corpi trascelte da registrazioni video, sottoposte ad una scansione da parte di macchinari che ne analizzano la frequenza luminosa e quindi digitalizzate e stampate, per essere poi ricoperte da uno spesso strato di resina che attraverso la sua consistenza gelatinosa e la sedimentazione ondulata conferisce all’insieme una parvenza mobile e traslucida, che mima il movimento impercettibile dei pixels su un monitor. Profili attraversati dalla luce che emergono dallo sfondo azzurro come da una profondità siderale, che l’artista ha chiamato “Anime” per sottolinearne il carattere immateriale, il tratto di “automovimento” che è loro connaturato. E che sovente ritornano alla dimensione originaria, in lavori come “Feeding” (1999) ove l’immagine viene emessa da un monitor incapsulato, anch’esso, nella resina, o in una installazione senza titolo dello stesso anno dove lo schermo, nascosto dietro un pannello finge a sua volta la configurazione del quadro.

Si modula così un confronto tra fissità mobili e mobilità stabili che affranca, in certo modo, l’immagine dal mezzo; che scavalca la nozione di “corpo intercambiabile”, preconizzato per il cibernauta da Eric Gullichsen,  per mettere a fuoco l’essenza stessa dell’immagine rintracciata nel ruolo intermedio fra sensibile e soprasensibile che Platone riconosceva all’anima.

 

s.r.  (2000)





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