Hozro: materiali sulle arti visive a Genova








ALESSANDRO CRAVERA: L'IMMAGINARIO RICICLATO


Se nella modalità combinatoria che, più o meno scopertamente, pervade l'epoca la verità del collage sembra risiedere nel fatto - banale, se vogliamo - che "tutto è collage", non può stupire che talune fra le definizioni azzardate intorno alla natura di questa attività ai suoi albori si presentino in veste di una sorta di ritagli ricontestualizzati di formule già applicate, con una fortuna che le rende immediatamente riconoscibili, in altri ambiti.
È, infatti, l'"alchimie du verbe" di Rimbaud a suggerire a Max Ernst l'idea del collage come "alchimia dell'immagine visiva", che attua "il miracolo della trasformazione totale degli esseri e degli oggetti con o senza modifiche al loro aspetto fisico", mentre di Lautreamont si vale per assimilarne lo schema operativo all'"incontro casuale di due realtà distinte su un piano non pertinente".
Incontro, peraltro, non così gratuito, atteso che discende da un procedimento retorico complesso che concerne "da un lato il tipo di messaggi da cui l'artista preleva e la maniera in cui preleva; dall'altro la maniera in cui ricompone ed il tipo dei messaggi cui approda".
Nel caso dei photocollages, quella che il Groupe m, nel suo semiserio devergondage semiotique, definisce come "isotopia del materiale plastico" consegue dall'utilizzo di reperti fotografici estratti da rotocalchi. Ma, nei lavori di Alessandro Cravera, una tale uniformità di fondo risulta attenuata da una differenza di grado all'interno delle immagini assemblate (ove di frequente allo sfondo colorato fanno da contrappunto - in primo piano - figure o gruppi in bianco e nero) che rimarca l'artificiosità della composizione.
Si dispiega in tal modo un rovesciamento d'uno dei moduli tipici del photocollage, che usualmente aspira ad istituire, attraverso l'omogeneità dei materiali, una connessione sorprendente fra immagini usualmente non associabili, in analogia con l'esasperazione della tensione metaforica perseguita dai surrealisti.
Ma a fondare un tale rivolgimento è proprio l'abbandono dell'immagine-metafora per una più ampia intonazione narrativa, che il carico di significati persistente attorno ai personaggi inclusi negli scenari costruiti con studiata plausibilità sostanzia di risvolti drammatici.
Il racconto che si snoda (o forse, piuttosto, si concentra) in queste opere, tra violenza e fascinazione, eros e numinosità, non pone in rapporto "realtà distinte", come voleva Ernst, ma sembra inglobare nell'unità di spazio rappresentata dall'immagine, tempi diversi, brani di una complessità irriducibile ove il documento si mescola al tratto inventivo (talora dichiaratamente onirico, come ne "Il ballo", 1987-89) sedimentando nei personaggi - per riprendere un'espressione di Deleuze - "un prima e un dopo che costituiscono il reale, proprio nel punto in cui la fabulazione si slancia".

s.r. (1990)





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