Hozro: materiali sulle arti visive a Genova







CESARE VIEL: PERFORMANCE PER CLAUDIO COSTA

Genova matrigna nei confronti di Claudio Costa, luogo ove l'artista, come ha scritto Giorgio Cortenova, "era costretto a un marcamento psicologico di non facile vivibilità" o città amata, come sostiene Andrea Del Guercio, che andrebbe analizzata nel suo intreccio di rapporti personali, professionali e umani, per l'incidenza che questi hanno trovato nella sua opera? Se da un lato si debbono constatare carenze nel sostegno concesso al suo vulcanico attivismo e la mancata realizzazione in vita a quell'ampia antologica a cui Costa aspirava, dall'altro l'intensa partecipazione al vernissage della rassegna allestita nel Museo di Villa Croce, l'afflusso straordinario di amici ed estimatori, di artisti e collezionisti, la provenienza genovese della quasi totalità dei lavori esposti testimoniano l'esistenza di un dinamismo forte, ancora lontano dall'esaurirsi, nella sua relazione con l'ambiente. A sottolineare l'importanza che la figura di Claudio Costa, inventore e protagonista dell'arte antropologica e sottile indagatore di trasmutazioni alchemiche, riveste nella vicenda artistica dell'ultimo trentennio vengono ora due nuove manifestazioni. La prima è costituita dalla rassegna "Colla, Acido, Polistirolo", ospitata da ieri l'altro negli spazi della Fondazione Katinca Prini, in cui figurano alcuni dei primi lavori dell'artista, ancora legati alla poetica pop, un corpus di fogli inediti e alcune grandi opere come "Attaccapanni" dei primi anni '70, un tubo costellato di foto delle diverse popolazioni umane. La seconda è rappresentata, invece, da una performance messa in atto da Cesare Viel, uno dei più validi fra gli artisti italiani emergenti, in una sala dell'ex Ospedale Psichiatrico di Quarto. In questo complesso Costa, com'è noto, ha tenuto studio e corsi di Arteterapia nell'ultimo scorcio della sua vita, in un coinvolgimento crescente che lo ha portato a fondare, nel maggio 1992, il "Museo attivo delle forme inconsapevoli", in collaborazione con Miriam Cristaldi, Luigi Maccioni, Antonio Slavich e Gian Franco Vendemiati.

Una iniziativa che dette luogo a contrasti fra chi riteneva feconda la posizione dei promotori che intendevano "far convivere negli spazi del Museo, senza soluzione di continuità, le espressioni artistiche di persone affette da handicap mentali insieme ad opere di artisti professionisti" e chi invece, come Gianfranco Bruno e Germano Beringheli, opinava che i lavori di coloro che sono affetti da disturbi mentali, proprio per il loro carattere d'inconsapevolezza solo fortuitamente possono attingere dignità d'arte.

Viel ha immaginato di ricordare la personalità di Costa, animata da eguale passione per la ricerca scientifica, la simbologia alchemica e l'intuizione delle cose ultime, attraverso la lettura dell'ultimo capitolo de "L'opera al nero" di Marguerite Yourcenar. Con l'ausilio di pochi oggetti di scena, parte presenti nel romanzo (un tavolo, una sedia, una brocca mezzo piena d'acqua, una coperta), parte evocatori del laboratorio d'Arteterapia (una bacinella, dei colori, qualche pennello), Viel ha rievocato l'ultima notte di Zenone, medico-filosofo eterodosso, rinchiuso in cella a Bruges, dopo la condanna capitale, accennando un parallelo fra lo stoico passaggio alla eternità del protagonista del romanzo e "il morire al mondo sensibile per rinascere in un altro tempo e in un altro spazio" che Costa perseguiva nel suo lavoro di artista: alchemicamente intento a separare e dissolvere la sostanza materiale per trasformarsi in pura vibrazione, nel "desiderio di essere come un diapason, un diapason che continua a risuonare, che canta in eterno".

s.r. (gennaio 2000)








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