Hozro: materiali sulle arti visive a Genova





LA SCOMPARSA DI SANDRO CHERCHI

Se la vicenda di Sandro Cherchi - figura di spicco della scultura italiana del Novecento, scomparso ottantasettenne il giorno di Natale - trova i suoi essenziali riferimenti a Milano, dove sul finire degli anni Trenta assorbe nel gruppo dei giovani di "Corrente" gli stimoli che lo indirizzarono verso una ricerca plastica definita da Attilio Podestà come "appassionatamente implicata con il proprio tempo", e nell'ambiente torinese, dove fu attivo a partire dal 1948, anche in veste di docente prima al Liceo Artistico e quindi all'Accademia Albertina, il legame con Genova, sua città natale, si è mantenuto vivo nel tempo. Al punto che lo scultore volle, appena alcuni anni or sono, perpetuarlo con la donazione di un importante nucleo di opere al Museo d'Arte Contemporanea di Villa Croce.

Formatosi all'Accademia Ligustica (dove ottiene nel 1935 il pensionato Brignole Sale - De Ferrari per la classe di scultura che gli permette di trasferirsi a Milano) a Genova Cherchi tiene nel 1940 la sua prima personale presentato da Umberto Silva che rimarca il carattere espressivo della sua ricerca, sottolineando come essa si disponga ad affrontare "un complesso di rischi che di continuo nascono dall'affidare situazioni di sentimento ad esplicite ricerche plastiche".

Tra le opere più significative di quegli anni "La pazza", un nudo seduto che segna appunto il passaggio di Cherchi dalla concentrazione magico-arcaica della "testa di donna" (1936) e del "Narciso" (1937), alla materia pulsante in cui, secondo Giorgio Labò, che nel 1941 ne presentava la seconda personale presso la Bottega degli Artisti di Corrente, si manifestava il vibrare di un peculiare "scatto emotivo".

A Labò, trucidato dai nazifascisti nel 1944, Cherchi dedica nel 1945 una "Pietà" in cui le figure sembrano agglomerarsi in una superficie fitta d'incavi e di convessità, in una sequenza luministica che alterna zone d'ombra a vivide "scaglie cromatiche" (Scialoja).

Lungo questa linea, attorno alla metà degli anni Cinquanta, l'artista perviene (in opere come "Omaggio all'Immaginismo", 1956, che documenta il suo accostamento al movimento fondato da Jorn nel 1954) ad una rilettura dell'"espressionismo degli anni precedenti in chiave tendenzialmente informale" (Gelli), abbandonando quasi la terza dimensione ed accostandosi in qualche modo alla pittura.

Un recupero della spazialità, non più in chiave plastica ma in nuce ambientale, sopravviene verso la fine del decennio seguente con lavori come "Battaglia" (1967) dove le figure appaiono come ritagliate in una lamina incurvata sul basamento e, più ancora, nelle "sculture-paesaggio" elaborate a partire dal 1968.

Qui Cherchi allestisce una sorta di scenografia in cui gli sfondi naturali vengono ridotti a trame essenziali, appiattite, che "conservano la leggerezza precaria del materiale con cui sono state abbozzate (cartone e cera) ma che il bronzo, con i suoi barbagli e le sue ossidazioni, arricchisce di echi profondi e misteriosi" (G. Romano) facendo intravedere, al di là della composizione squisitamente modulata, il persistere immutato a così lunga distanza di tempo di quello "scatto emotivo" che ne aveva caratterizzato gli esordi.

s.r. (1998)

 

 



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