Hozro: materiali sulle arti visive a Genova



 

 


 

 

L'IPERREALTA' SIMULATA DI CAMINATI

L'iperrealismo, certo, è da considerarsi fenomeno essenzialmente americano. Come, e forse più, dell'espressionismo astratto. Altrettanto almeno dell'Arte Pop. Questo non significa, d'altronde, che sia fenomeno esclusivamente americano. Ne' che non vi siano state, da noi, esperienze tempestive e dotate di tratti sperimentali autonomi, atti a distinguerle da cadenze epigonali.
Nel volume che Italo Mussa ha dedicato, all'inizio degli anni '70, a questo fenomeno, le uniche corrispondenze italiane erano individuate, abbastanza impropriamente, in una serie di opere realizzate da Domenico Gnoli e, forse con maggior pertinenza, in un lavoro di Carlo Maria Mariani.
Il primo, in effetti, pur nella sottolineatura e nell'ingrandimento del particolare, s'indirizza verso una stilizzazione assoluta dell'immagine, produttiva semmai d'esiti metafisici. Il secondo - invece - si rivelerà alfiere d'una sorta d'anacronismo con implicazioni concettuali. Anche a tener valida questa classificazione, manca nella variante iperrealista italiana un terzo uomo. Che potrebbe essere senz'altro impersonato da Aurelio Caminati, le cui opere del periodo 1971/75 (le superstiti di un gruppo più folto) sono state raccolte in una mostra allestita da Edoardo Manzoni nel 1989 alla Polena.
Strano revival, che trova nondimeno consistenza (al di là dell'affermazione dell'autore nel concorso per gli affreschi del Carlo Felice) nella tenuta delle opere a vent'anni - quasi - dal loro compimento.
Gioca, in questo, la maestria tecnica acquisita in un procedimento segnato da una marcata tensione sperimentale. "Facevo - ha affermato l'autore - una pittura invertita, nel senso che mentre i grandi maestri danno il colpo di luce in rilievo, con il pennello, io ho pensato di eseguire questa operazione a rovescio: stendevo prima di tutto i diversi strati di colore (giallo, blu, magenta) con l'aeropenna; poi con un trapano da dentista cui applicavo delle punte di gomma, scavavo e impastavo le superfici, creando tonalità diverse e facendo emergere di scatto colori puri".
Se, all'epoca della loro produzione, era il super-realismo dell'immagine pittorica "più vera della fotografia" a focalizzare l'attenzione "stimolando un dibattito sul margine di ambiguità riproduttiva dei linguaggi e, addirittura, sull'ambiguità percettiva fra realtà vera e realtà riprodotta" come notava qualche tempo dopo Franco Sborgi, oggi s'affacciano invece in primo piano quegli aspetti inventivi dissimulati nella fittizia obiettivita'della rappresentazione, quale può considerarsi la trama esasperata di dettagli anatomici (ad esempio, la fronte incisa di rughe di "Portuale", 1973/74), che ironizza il reale sovraccaricandolo, fors'anche più della tematizzazione aneddotica delle "Nazioni", ove le corrispondenze fra le parvenze fisiche dei volti e le diverse nazionalità sono accentuate sino ad una trasposizione in grottesco delle intenzionalità metaforiche.

s.r., (1989)





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