Hozro: materiali sulle arti visive a Genova





NIENTE PITTURA PER BEN

Il nome di Ben Vautier, la sua pratica artistica (in cui si mescolano una speculazione teorica incline al paradosso ed una disposizione ironicamente invasiva) sono per il solito associati tout court al fenomeno FLUXUS ed alla concezione della vita come arte e dell'arte come vita elaborata nell'ambito di quel raggruppamento. In realtà le cose non sono così semplici: sfogliandone la biografia, convenientemente avventurosa (dai tre battesimi fattigli amministrare, a Napoli, da balie devote, all'infanzia trascorsa a Smirne ed Alessandria, al fuggevole incontro con Lucky Luciano presso uno zio fabbricante di lampare) lo ritroviamo negli anni '50 dapprima pittore astratto nella mansarda de "Le Nain Bleu", una libreria nizzarda in cui era commesso, poi - in omaggio ad una teoria dell'arte come choc e novità - "inventore" della forma-banana, bocciata da Yves Klein come sottoprodotto kandinskiano. All'inizio del successivo decennio, dopo un più approfondito contatto con gli ambienti del Nouveau-Rèalisme (in specie con Arman e Spoerri), Ben diviene propugnatore di un'estetica dell'appropriazione che lo porterà a prendere possesso del "Tutto" ed a firmare quanto gli venisse a mano : un buco, la città di Nizza, proclamata "opera d'arte aperta", i quadri altrui. Di quel periodo (1962) l'incontro con Maciunas, l'animatore di FLUXUS. Negli anni '80, passata l'ondata concettuale, Ben inventa per la nuova tendenza pittorica emergente in Francia il termine "Figuration Libre" ed introduce nei suoi lavori una componente figurativa ironico-grottesca.
In quest'arco di tempo la sua attività non ha registrato soste. Ben ha vissuto quindici giorni nella vetrina della One Gallery di Londra, ha organizzato Festival FLUXUS, venduto dischi usati, fondato il Théatre Total, tenuto performances come "Public" (in cui la sua azione consisteva appunto nel fissare il pubblico), ha divorziato, si è risposato con Annie Bericalla, ha esposto una portinaia alla Galerie Zunini di Parigi, ha girato un film che lo riprendeva nell'atto d'insultare gli spettatori, ha pubblicato riviste, scritto un volume di interventi teorici, impiantato una galleria intitolata ai suoi figli ("Malabar et Cunegonde"), ideato dibattiti all'insegna del "Pour et Contre". La sola cosa, forse, che gli riesca difficile è tacere. Tanto è vero che - come lui stesso confessa - la performance "Ne pas parler" (1967) realizzata durante un vernissage gli ha fatto perdere, per un certo periodo, il gusto della "non-arte".
Nella mostra allestita in questi giorni presso la Galleria Unimedia (Vico dei Garibaldi 1) Ben si applica a persuaderci che "Non c'è pittura". Perché, scrive su una tavoletta appesa sotto una tela bianca, "non c'è che decorazione". O perché, come rileva in margine ad un ritratto di Napoleone, "solo il potere esiste". "Non c'è pittura perché la cornice basta da sola" o perché, si potrebbe dire forzando una delle sue provocazioni, "non c'è niente di nuovo nella pittura, nemmeno la mancanza di pittura". Non c'è pittura, quindi, ma c'è Ben ed è - se non tutto - abbastanza.

s.r. (1989)





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