Hozro: materiali sulle arti visive a Genova







VANESSA BEECROFT PERFORMANCES

Sin dal loro primo apparire, attorno al 1993, le performances di Vanessa Beecroft hanno conquistato una posizione di assoluto rilievo nella scena contemporanea, avviando l'artista ad una rapidissima ascesa internazionale, coronata nel 1998 da un evento ("Show"), allestito al Guggenheim Museum di New York, la cui eco ha valicato i limiti propri della stampa specializzata per entrare a pieno titolo nell'ambito della comunicazione di massa.
Una monografia ricca di immagini provocanti e curate, edita in lingua inglese da Hatje Cantz, interviene oggi a documentare il primo tratto del percorso compiuto dalla Beecroft in questo campo, caratterizzato dall'impiego di gruppi di modelle in abbigliamento uniforme, e a dare nuova esca al dibattito, talvolta acceso, a proposito del suo peculiare approccio nel quale, com'è stato scritto, "svaniscono i confini fra moda, arte, voyeurismo e commento femminista".
La sequenza proposta nel volume, che si estende dalla performance ("vb08") realizzata nel 1994 al P.S.1 di Long Island, uno dei musei più sensibili alla produzione degli artisti emergenti, a "vb36", andata in scena presso la Galleria d'Arte Contemporanea di Lipsia nel 1998, consente di valutare più consapevolmente la marcata evoluzione che nel corso degli anni si è venuta registrando nel lavoro dell'artista. Nelle prove iniziali, infatti, il gruppo delle interpreti risulta più eterogeneo, la fisicità esibita in maniera violenta, le acconciature e la biancheria indossata più bizzarre e kitsch (parrucche rosse e slip azzurri, ad esempio). Le disposizioni impartite circa lo svolgimento dell'azione (non parlare, non incrociare gli sguardi, non interagire con gli spettatori ecc.) sembrano applicate in modo aggressivo, quasi da "bad girls". Al contrario, nelle ultime performances, si riscontra un tono più neutro: predominano accessori sofisticati (tacchi a spillo, bikini griffati), nudità seducenti e portamenti armonici, articolazioni spaziali studiate con precisione millimetrica.
Un trapasso, verificatosi in concomitanza con la partecipazione, nel 1997, a SITE (la Biennale di Santa Fé), che sembra avvalorare le interpretazioni secondo cui nel lavoro di Vanessa Beecroft si attuerebbe - sotto il profilo artistico - un autentico rivolgimento del linguaggio. Secondo Pier Luigi Tazzi, l'artista darebbe vita ad una sorta di "danza senza musica". David Hickey sostiene invece, forse con maggior esattezza, che la Beecroft trasferisce la composizione pittorica nello spazio della performance, sostituendo figure viventi e ambienti reali a quelli rappresentati sulla tela, senza peraltro debordare nella dimensione teatrale, grazie alla premeditata assenza di trama e di svolgimento.
Accanto alle indagini di matrice storico-artistica, numerose sono anche le discussioni sollevate dalle performances documentate nel libro su temi di ordine più generale. Come la commistione fra arte e moda, o l'uso strumentale della provocazione erotica. O come, ancora, la problematica del controllo spersonalizzante che l'autrice eserciterebbe - con l'imposizione di un "look" unico - sulle modelle che prendono parte ai suoi eventi. Su questi soggetti si fronteggiano tesi opposte, sostenute rispettivamente da chi vede nell'atteggiamento dell'artista un'adesione alle tendenze dominanti e da chi invece vi scorge una sotterranea, ma precisa, intenzione critica.
Le mosse successive della Beecroft - che il volume, probabilmente per ragioni di coerenza tematica, non riporta - spiazzano decisamente talune fra le controversie accennate, aprendo per converso nuovi fronti. Così è, in particolare, per le performances realizzate a San Diego e New York, dove il gruppo di modelle viene sostituito con militari della U.S. Navy, la marina da guerra degli Stati Uniti. Enorme successo, grande battage di stampa e canali televisivi, ma, insieme, proteste inusitatamente vibrate.
Più festosa e, probabilmente, autoironica una delle ultime operazioni: "VBGDW" (sigla che sta per "Vanessa Beecroft & Greg Durkin Wedding"), con la quale l'artista ha trasformato in performance il suo stesso matrimonio, avvenuto l'estate scorsa a Portofino. Gli invitati, rigorosamente in bianco, sono così divenuti gli interpreti di un evento condensato in una mostra tenuta in dicembre a New York, presso la galleria Jeffrey Deitch Projects, ed in un servizio apparso nello stesso mese in Italia, su Vogue.

s.r. (febbraio 2001)





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