Hozro: materiali sulle arti visive a Genova



 

EUGENIO BATTISTI

 

Tra le "pillole di saggezza" che ci son state tramandate, quella tuttora più diffusa in loco prescrive di non turbare situazioni che si trovino in stato di quiete. Ci si può dunque figurare agevolmente quali sommovimenti e reazioni potesse provocare l'approdo nell'ambiente genovese dei primi anni '60, ricco di potenzialità inespresse, d'un personaggio che - pur denunciando il profilo dello studioso di rango - sosteneva che "sempre si deve agire oggi per l'oggi, pronti ad acchiappare l'occasione appena questa metta a portata di mano la sua chioma" e si dimo­strava nei fatti pronto ad operare "per impulso e decisione immediata" senza riconoscere "limiti e rallentamenti, se non di stanchezza fisica, all'immaginazione".

Ad incarnare la figura in questione era Eugenio Battisti - scomparso a Roma per improvviso malore il 18 novembre scorso - che, in attesa degli esiti del concorso per l'assegnazione della cattedra già appartenuta a Giusta Nicco Fasola, era stato incaricato dell'insegnamento di Storia dell'Arte presso l'ateneo genovese.

In quel periodo (correva l'anno 1963) nella scena culturale italiana si andavano profilando radicali mutamenti. I "Novis­simi" (Balestrini, Giuliani, Pagliarani, Porta, Sanguineti) erano da poco venuti allo scoperto con l'omonimo volume anto­logico apparso nel 1961. L'anno seguente Umberto Eco aveva mandato in libreria "Opera aperta". Nel campo delle arti visive era in corso un acceso dibattito sulla situazione delineatasi "Dopo l'informale", con l'emergere delle tendenze neo-costrutti­ve (o gestaltiche) sostenute da Argan, della poesia visiva, dell'esperienza protoconcettuale di Manzoni.

Anche a Genova la situazione era in movimento. Umberto Silva pubblicava Heidegger, Husserl e Peirce. Su "Nuova Corrente" Piero Raffa proponeva l'estetica semantica. Si aprivano nuove gallerie come la Polena, in Vico Morchi, e il Deposito di Bocca­dasse, espressione quest'ultima di un gruppo cooperativo che contava fra i suoi esponenti Eugenio Carmi (all'epoca art-director dell'Italsider), Flavio Costantini, Emanuele Luzzati e Paolo Minetti. Bargoni, Carreri, Esposto, Guarneri e Stirone fondano il gruppo "Tempo 3".  Konrad Wachsmann progettava gratta­cieli per un grande centro direzionale.  Kurt Blum fissava nelle sue foto un indimenticabile ritratto della città.

Battisti, com'egli stesso riferisce in una testimonianza redatta nel 1985, si trova "subito immerso in un ambiente vivacissimo", "ambizioso di crescere", nel quale assume rapidamente una funzione di catalizzatore, dando vita - pur nella totale assenza di finanziamenti ("non disponevamo di una lira da parte del­l'Università", ricorda) - ad un intreccio straordinariamente vitale di attività didattiche, espositive, critiche e d'infor­mazione.

Affiancato da un gruppo di studiosi e critici (Ezia Gavazza, Germano Beringheli e il giovanissimo Celant), sopperendo alla mancanza di fondi con una singolare pratica del baratto (grazie a cui riuscì ad ottenere dall'Italsider borse di studio per storici dell'arte in cambio di conferenze per gli operai), Battisti promuove conferenze - di Argan, Dorfles, Eco, fra gli altri - "spesso rimaste indimenticabili" per gli stessi oratori, creando in tal modo una rete di contatti ed una circolazione d'idee di enorme importanza. Stabilisce, inoltre, rapporti con altre Università; contribuisce - così che Genova come centro culturale fosse presente alla Biennale veneziana - a dar vita al "Premio Mario Carena" da assegnarsi ad un artista che esponesse "per la prima volta e con rilievo alla rassegna"; anima il dibattito critico nelle gallerie.

Fra i momenti topici del suo periodo genovese rientra il lancio, nel novembre 1963, de "il Marcatré", notiziario di cultura contemporanea basato su una struttura a sezioni (di cui sono responsabili Sanguineti per la letteratura, Gelmetti per la musica, Dorfles per il disegno industriale, Eco per la cultura di massa, Portoghesi per l'architettura, Battisti stesso per le arti visive) edito inizialmente da Rodolfo Vitone e destinato a trasformarsi, dopo il trasferimento a Milano, nella più in­fluente rivista della neo-avanguardia italiana.

Analogamente al "Marcatré", che nasceva dal bisogno di colti­vare un dibattito interdisciplinare, documentando (e nel contem­po incalzando) "quella complessità che è caratteristica, sem­pre, d'una cultura in movimento", il Museo Sperimentale d'Arte Contemporanea (fondato nel dicembre 1963) si sviluppa "non come scommessa od  azzardo ma per il bisogno di demcratizzare gli strumenti del conoscere, di estendere la discussione e la frui­zione dell'arte contemporanea, allora limitata per ragioni di strutture espositive e di mercato a tre-quattro città al massi­mo o ad occasioni estemporanee".

I risultati di questa impresa collettiva - che, ricorda Battisti nella più volte citata testimonianza, "può vantare una priori­tà come modello sia ideologico sia organizzativo" di istituzio­ne museale in progress - appaiono a distanza di tempo quasi miracolosi: un centinaio di artisti accettano di donare opere esposte prima, a gruppi, nel ridotto del Piccolo Teatro e, quindi, nel 1964, nel Teatro del Falcone.

"Poi, com'è noto, l'apocalissi" - annota Battisti in una lette­ra ad Edoardo Manzoni - "i baroni giocarono le loro carte sulla cattedra, Ragghianti mandando Luporini, Argan Maltese... la Marcenaro riuscì a cacciare dal Falcone il Museo d'Arte Contem­poranea" che fu poi donato alla Città di Torino.

La carriera dello studioso prosegue fra gli Stati Uniti (Penn­sylvania State University) e Roma ove diviene ordinario di Storia dell'Architettura all'Università di Tor Vergata. Vengono nuove pubblicazioni (le monografie su Piero della Francesca, 1971, e Filippo Brunelleschi, 1976); si ristampa, da ultimo, arricchito da un esteso supporto bibliografico, il fondamentale studio sull'"Antirinascimento" originariamente edito da Feltri­nelli nel 1962.

A Genova Battisti compie frattanto solo rapide comparse. Inter­viene comunque nel 1986 all'inaugurazione della mostra che il Museo di Villa Croce (in collaborazione con la Civica Galleria d'Arte Moderna di Torino) dedica al Museo Sperimentale, stupen­dosi che questo "sia divenuto da strumento un documento". Un documento che, nel rendere giustizia alla sua intelligenza anti­cipatrice ed alle sue doti d'animatore, riflette per contro la vergogna degli immobilisti e dei burocrati, tuttora saldamente radicati fra noi.

 

s.r.  (1989)





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