Hozro: materiali sulle arti visive a Genova





MARCO BAGNOLI ALLA LOCUS SOLUS

Locus Solus, lo spazio diretto da Vittorio Dapelo e Uberta Sannazzaro, ha inaugurato la stagione '88/'89 presentando "Archipallo" un installazione realizzata da Irene Fortuyn che mantiene nella sigla il nome di Robert O' Brien, scomparso giovanissimo la scorsa primavera il giorno stesso dell'apertura della loro mostra al Museo di Saint-Etienne.
In questa prima personale italiana (dopo le apparizioni di quest'estate alla Biennale di Venezia, in "Aperto 88", e nella mostra della "Giovane Scultura Olandese" ordinata nella stessa città, a Palazzo Sagredo), ad un estremo della galleria, addossato al muro, era collocato un cancello, di fronte al quale - sottolineandone il carattere fittizio, erano posti due arbusti sagomati a cono; al lato opposto, una finestra, attraversata da un foro ellittico, risucchiava la parete bianca verso la chioma sferica d'un altro vegetale.
Il riferimento era quindi, inequivocamente, indirizzato verso lo spazio che più d'ogni altro sembra unire l'immediatezza dell'ambito naturale ad una disposizione artificiale, vale a dire il giardino, mondo inscenato nell'immobilità e nella finzione, la cui menzogna ornamentale viene assunta, nell'allestimento di Fortuyn/O'Brien, come presenza e come modello ad un tempo.
Dal 21 Dicembre scorso Locus Solus ospita invece una mostra di Marco Bagnoli, già presentato dalla galleria nell'83 e nell'86.
L'artista - incluso recentemente (con Remo Salvadori, Arienti, Levini e Gilardi) in "East Meets West", una rassegna di autori italiani e giapponesi proposta nell'ultima edizione della Los Angeles Art Fair, oltre che nel volume celantiano dedicato all'"Inespressionismo" pubblicato dall'editrice genovese Costa & Nolan - espone una scelta di pezzi che riflettono il carattere peculiare di un lavoro in cui un "sapiente calcolo di effetti" e dimensioni s'innesta su componenti alchemiche, unendo positivo e negativo in una figuralità ambigua.
L'opera di maggior rilievo ("L'immagine è una pietra gettata nel lago", 1988) è costituita da una base cilindrica ricoperta di limatura di ferro al cui centro è situato un quadrato (il lago) in mercurio, sormontato da un "vortice" in legno, bianco e grigio, che disegna in negativo due profili contrapposti.
Le fanno contorno, ai due estremi della galleria, una scala (un simbolo di ascesa e di passaggio), ed un arco rosso (un rettangolo di compensato dipinto con pigmento di cinabro: ove "diritto e curvo si mantiene unito") che crea sul muro l'ombra di un tunnel inesistente, una ciotola-specchio in rame ("passaggio", ancora), un arco di zolfo applicato - quasi invisibile - al soffitto, in una limpida costuzione che - secondo quanto ha scritto Bruno Corà - "convoca nel medesimo sfaccettato corpo i dubbi della logica e gli assiomi della ricerca scientifica, le "mancanze" della filosofia occidentale e le impalpabili certezze dell'insegnamento spirituale dell'oriente, la sonorità della parola poetica e il silenzio vertiginoso della visione, resa manifesta nell'opera".

s.r. (1989)





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