Hozro: materiali sulle arti visive a Genova





EDOARDO ALFIERI A VILLA CROCE

Non è riuscito, Edoardo Alfieri, ad assistere all'inaugurazione di questa sua imponente antologica, ordinata da Franco Sborgi nelle sale di Villa Croce, che già nel 1995 gli aveva dedicato un primo "Omaggio". La rassegna, venuta ad un solo mese dalla scomparsa all'età di ottantacinque anni, offre comunque al pubblico della città dove Alfieri ha lungamente operato come artista e maestro di giovani scultori la possibilità di accostarne l'opera nel suo insieme, stimolando l'incontro con i lavori monumentali dislocati nel tessuto urbano. Statue, bassorilievi, colonne - realizzati a partire dagli anni '50 - sono infatti inseriti nelle sedi di enti locali e governativi (nei palazzi della Provincia e dei Lavori Pubblici, ad esempio) come in edifici di grandi aziende, fra cui la Banca Popolare di Novara o l'Elsag Bailey, sponsor dell'iniziativa. Ed a Staglieno è raccolto un significativo nucleo di opere che comprende, fra l'altro, "L'Apocalisse di San Giovanni" (1948/50), collocata nella Tomba Puri, i bronzi della "Tomba dei fidanzati" (1961) e le grandi figure marmoree della "Fede" e della "Speranza" (1954/56) nel porticato di S.Antonino.

Se l'incontro con le opere maggiori risulta essenziale per cogliere appieno la forza creativa dell'artista, la mostra - e il catalogo, edito da Mazzotta, che l'affianca - ne ricostruiscono puntualmente le ricerche, condotte in un dialogo costante con le grandi esperienze del passato e le più avanzate sperimentazioni. Vediamo così l'artista modellare giovanissimo nel 1929, sulla scia di Martini, un "Ritratto femminile" in enigmatiche fattezze etruscheggianti, riproposte dieci anni più tardi, dopo la parentesi futurista e la conclusione degli studi con Francesco Messina a Brera, nel "Ritratto di Bianca Rapuzzi". Quindi, compiuta una fulminea sortita entro i confini della metafisica dechirichiana ("Il colloquio degli amici", 1939), lo scorgiamo indirizzarsi verso modalità espressionistiche assimilabili a quelle maturate nel gruppo di "Corrente" con "Disperazione" ed il "Torso di ragazzo" (1944) in cui, nota Sborgi, "i riferimenti alle superfici rodiniane si caricano di angosciata denuncia".

Al dopoguerra appartengono la classica misura dei due ritratti di Anna Ramenghi (1948) ed una serie di prove ("Il miracolo della mula", dello stesso anno, e la gi citata "Apocalisse di San Giovanni") ove la lezione della scultura romanica toscana, avvicinata nel soggiorno fiorentino fra il 1939 ed il 1940, viene saggiata nei suoi valori di saldezza volumetrica e di sintesi espressiva. Ai riferimenti picassiani rintracciabili nei volti della "Fede" e della "Speranza" segue, nei bozzetti del concorso per il monumento al "Caduto sul lavoro" (1955), un realismo attento alle vicende dell'arte nordeuropea, da Meunier a Toorop. Dopo la metà degli anni 50, in opere come "Il Guerriero" e "Pegaso", si nota l'emergere d'una tendenza all'astrazione, frenata ancora dal predominio della figura e dall'arcaismo che sembra rattenere l'esplosione della materia. Che si manifesta nelle espansioni biomorfe di "Dove soffia il vento" (realizzato nel 1962 per la Tomba Mele) e nelle parvenze acuminate dei legni corrosi assemblati in "Equilibrio aggressivo", per rapprendersi e quietarsi poi nei riquadri sovrapposti a formare lo "Scudo di guerriero siriano" (1964).

Ma seppur entusiasticamente perseguito, quest'affondo nelle poetiche dell'informale non giunge a soppiantare nell'ispirazione dello scultore le radici prime. Si assiste perciò nelle opere degli anni '70/'80, in gran parte eseguite per la parrocchiale d'Avilla di Buia, presso Udine, al riaffiorare di quella personalissima ricomposizione d'impianti medievali e d'esperienze del primo Novecento che già s'era mostrata a ridosso della guerra con "Il corridore" (1939). Con un magistrale controllo della giustapposizione fra la consistenza dei personaggi raffigurati e lo squilibrio delle loro positure ("Giona e la balena", 1988; "La caduta di S. Paolo", 1989) ed un tratto, esemplificato nel vorace viluppo di cavallette che trabocca dalla formella dedicata a "Le piaghe d'Egitto" (1981), nel quale si dispiega un'inedita valenza fantastica.

s.r. (1998)





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